Non è usuale considerare Emilio Lussu sotto l’angolazione giuridica. Gli interrogativi si affollano: perché si avviò allo studio del diritto? Come intraprese la via dell’avvocatura, che allora racchiudeva un’élite prestigiosa, intermediaria tra istituzioni e società civile? In che modo utilizzò il bagaglio di preparazione nelle tormentate vicende del primo dopoguerra e dell’avvento del fascismo? E in conclusione: lo si può definire un giurista?
Non vale discettare di etichette, ma di certo, come in tutte le cose che ha fatto, Lussu ha interpretato a modo suo e da protagonista anche la dimensione giuridica.
Del capitano della Brigata Sassari viene qui esaminata l’esperienza nel periodo ‘cagliaritano’ (1910-1927). Essa comprende la formazione presso la Facoltà di Giurisprudenza (corsi ed esami, maestri, incontri con colleghi che saranno ora compagni di lotta, ora avversari). Nel teatro di guerra e al rientro nell’isola prosegue con l’enucleazione della visione autonomista, quale affrancamento da vincoli di sottomissione e liberazione delle energie intellettuali e produttive. Si sviluppa ulteriormente attraverso l’esercizio della professione legale, in una duplice veste: dell’avvocato che operava nello studio (la sua biblioteca e il sodalizio con il ‘sostituto’ e amico Calabresi) e nelle aule del Tribunale, entro gli spazi sempre più ristretti lasciati dalla dittatura fascista; e dell’avvocato combattuto dal regime fino all’invio al confino di Lipari.
Combattuto, ma non sopraffatto nemmeno quando il regime lo cancellò dall’albo degli avvocati: anche nei tempi della dittatura restò ferma la sensibilità dell’homo civilis che si fece militante per la democrazia.
Non vale discettare di etichette, ma di certo, come in tutte le cose che ha fatto, Lussu ha interpretato a modo suo e da protagonista anche la dimensione giuridica.
Del capitano della Brigata Sassari viene qui esaminata l’esperienza nel periodo ‘cagliaritano’ (1910-1927). Essa comprende la formazione presso la Facoltà di Giurisprudenza (corsi ed esami, maestri, incontri con colleghi che saranno ora compagni di lotta, ora avversari). Nel teatro di guerra e al rientro nell’isola prosegue con l’enucleazione della visione autonomista, quale affrancamento da vincoli di sottomissione e liberazione delle energie intellettuali e produttive. Si sviluppa ulteriormente attraverso l’esercizio della professione legale, in una duplice veste: dell’avvocato che operava nello studio (la sua biblioteca e il sodalizio con il ‘sostituto’ e amico Calabresi) e nelle aule del Tribunale, entro gli spazi sempre più ristretti lasciati dalla dittatura fascista; e dell’avvocato combattuto dal regime fino all’invio al confino di Lipari.
Combattuto, ma non sopraffatto nemmeno quando il regime lo cancellò dall’albo degli avvocati: anche nei tempi della dittatura restò ferma la sensibilità dell’homo civilis che si fece militante per la democrazia.